Tradurre da una lingua all’altra è sempre possibile. Questa attività può, tuttavia, presentare problemi legati a diversi ordini di fattori. Maggiore è la distanza geografica fra le lingue, maggiori saranno le difficoltà che incontreranno i traduttori, più grande sarà la necessità di colmare tal distanzi cercando parole ed espressioni nella lingua di arrivo, che possano significare quanto espresso nella lingua di partenza.
Per quanto riguarda Istinto abbiamo sottomano ottimi risultati dello sforzo compiuto dai traduttori delle edizioni tedesca, inglese e, da ultimo, francese. Ciascuna di queste traduzioni ha necessitato di un notevole sforzo di “adattamento” del testo originale alla lingua di arrivo, in termini di lessico e di realizzazione sintattica. Questo ovviamente perché non esiste una corrispondenza esatta e precisa fra le parole di lingue differenti e i diversi usi sintattici non consentono la ricreazione delle medesime frasi in lingue anche tipologicamente e culturalmente vicine. In generale, tanto più le lingue condividono la medesima storia culturale, tanto più è possibile ritrovare una corrispondenza soprattutto a livello lessicale; mentre la sintassi solitamente presenta distanze maggiori anche fra lingue relativamente vicine, come possono essere l’italiano e il francese. Sino a che punto può il traduttore modificare gli usi linguistici della lingua di arrivo, per dare conto della lingua di partenza? In altre parole, quale sintassi possiamo “tradire”, quella della lingua di partenza che non trova compiuta accoglienza nella lingua di arrivo; oppure invece è consentito forzare la sintassi di arrivo per fare posto ad usi linguistici della lingua di partenza? Che cosa accade se invece le lingue che si vogliono tradurre sono lontane, non solo nello spazio, ma anche e soprattutto nelle tradizioni culturali e perfino negli usi grafici, come la lingua italiana e cinese? Quanto è possibile spingere questo processo di avvicinamento e distanziamento dall’una o dall’altra delle due lingue? E ancora, che ruolo ha il suono, la musicalità di una lingua per il traduttore?
Il contributo che si intende qui proporre mira ad affrontare talune questioni relative alla traduzione di Istinto in generale, prendendo come caso specifico il tentativo – ancora in fieri – di traduzione completa in lingua cinese.
Il primo problema, in cinese, come nelle altre lingue, è stato quello della scelta della traduzione di alcune parole chiave del testo, a partire dal titolo stesso. Ogni parola, in qualunque lingua, vive – si potrebbe dire – espleta la sua funzione vitale e significativa, in quanto legata all’esistenza di altre parole; in sostanza ogni parola, vive sì da sola, ma si realizza nel suo rapporto con le sue simili. Pensiamo, ad esempio, alla prima parola del titolo Istinto. Questa parola, in francese, inglese spagnolo o portoghese, ha trovato facilmente una radice comune all’italiano; in cinese si è fatto ricorso invece al termine běnnéng 本能, etimologicamente “capacità originale”; parola chiosata nel dizionario cinese come “ la capacità che esseri umani o gli animali hanno senza averla appresa, come per i neonati la capacità di piangere o succhiare il latte” (XDHYCD, p. 61). Oppure ancora xiāoshī de huànxiǎng 消失的幻想, laddove xiāoshī è la sparizione fisica di un oggetto o di una persona e huànxiǎng è la fantasia intesa come “un pensiero che si può realizzare o meno”, mentre esistono altri termini per indicare quella che non indichiamo come fantasticheria “cioè il pensiero di qualcosa che non si può realizzare”. Prendiamo ancora la coppia ormai nota ed invalsa anche nel linguaggio comune, che viene per la prima volta identificata in Istinto, bisogni ed esigenze, che sono stati resi in cinese come xūyào需要 “bisogno” e xūqiú 需求 “esigenze”; si può notare facilmente che il primo morfema di entrambe le parole è identico: xū需 ed è appunto “avere bisogno”, infatti sul dizionario tale morfema è glossato come xūyào需要 “bisogno”, mentre la glossa di xūqiú 需求 è “una richiesta frutto della (soddisfazione) di un bisogno”. Definizione questa che non si discosta molto da quella presente nel GRADIT di De Mauro, laddove leggiamo per esigenza: “tendenza, impulso verso la ricerca di nuove soluzioni che migliorino lo stato di fatto e che meglio rispondano ai bisogni della situazione presente” (p. 346).
Il presente lavoro intende contribuire a dimostrare come sia possibile rendere “perfettamente” anche in una lingua così remota, rispetto a quella usata dall’autore, come è il cinese, tutti i sensi di questo opera. Tutto questo necessita semplicemente di uno sforzo da parte dei traduttori che devono riuscire a ritrovare i termini più adatti anche in cinese, adattando la lingua di partenza agli usi della lingua di partenza, contribuendo così a dimostrare – ancora una volta, se ce ne fosse bisogno – che il contenuti di quest’opera come di tutto il patrimonio scientifico lasciato da Massimo Fagioli, avendo come fondamento lo studio della realtà umana più profonda, possono e devono poter essere resi in una qualunque lingua umana.
Bibliografia sommaria
- Fagioli, M. (2022). Istinto di morte e conoscenza. Roma: L’Asino d’oro (1972).
- Xiandai Hanyu cidian 现代汉语词典 (Dizionario della lingua cinese moderna). (2012), Beijing: Shangwu yinshuguan, 6 edizione (1960).
- De Mauro, T. (1999-2000), GRADIT, Grande dizionario italiano dell’uso, Torino: Utet.