Il primo capitolo di Istinto di morte e conoscenza (Fagioli, 2017) si apre con una ricerca del tutto originale. Partendo dalla comune osservazione di una reazione comportamentale o inconscia del paziente alla sospensione delle sedute che il terapeuta fa nel contesto della routine clinica, Massimo Fagioli deduce e scrive: «L’analista si assenta. Il paziente subisce una frustrazione» (Fagioli, p.13). La reazione del paziente all’assenza fisica del terapeuta viene spiegata dall’autore attraverso l’introduzione del concetto di «assenza psichica definito in modo nuovo come concetto di sparizione», di «non essere» (p.16).
La definizione di tale concetto apre ad una ricerca inedita sul terapeuta e sulla sua prassi clinica, che risulta essenziale nel contesto storico del momento. Già nel 1966, infatti, Kiesler aveva definito “mito” l’assunto, fino ad allora condiviso, dell’uniformità del terapeuta, qualificando come «devastating» la prassi di ricerca in psicoterapia che selezionava per un disegno di ricerca i terapeuti sulla base della congettura che questi ultimi fossero fra loro più simili che differenti. Che cosa poteva accadere nella cosiddetta real relationship, cioè a livello controtrasferenziale nel terapeuta e in un circuito a feedback nella mente del paziente, viene però finalmente teorizzato solo nel 1971 con Istinto di morte e conoscenza. In esso Fagioli ipotizza un nesso causale tra il concetto di assenza psichica e il concetto di frustrazione, operando però un’ulteriore e originale specificazione. Distingue infatti la frustrazione dei “bisogni” del paziente, intesi come una attività di rapporto parziale, tendente ad una soddisfazione diretta determinata da una attività pulsionale volta a non considerare la realtà umana del terapeuta, dalle “esigenze” di conoscenza e sviluppo psichico dello stesso.
L’opposizione del terapeuta alla soddisfazione dei bisogni del paziente viene definita da Fagioli come presenza psichica e «frustrazione- interesse» nei confronti di quest’ultimo e al contrario, la non risposta all’esigenza di sviluppo della sua realtà mentale viene enucleata come assenza psichica e «frustrazione-aggressività» verso di esso. Questa “non risposta”, specifica l’autore, «non è la mancanza di qualcosa, ma l’esplicazione attiva di una pulsione (Istinto di morte) diretta contro l’oggetto esterno». (Fagioli, 2017, p.22). L’individuazione di questa dinamica di rapporto consente finalmente di comprendere ciò che determina una difficoltà di risposta all’ esigenza di sviluppo della realtà mentale del paziente. Non rispondente, perché psichicamente assente, è dunque il terapeuta che «rinuncia a comprendere – interpretare per assumere ruoli di samaritano o di pedagogo» oppure che, nella sua flessibilità, non si rende conto che non si sta opponendo alla soddisfazione di un bisogno. La sua assenza psichica è pulsione di annullamento contro la realtà psichica dell’altro.
Conoscere ciò che determina non solo la qualità del rapporto che il paziente fa con il suo terapeuta, ma anche l’attività di rapporto che il terapeuta è in grado di esplicare nei confronti del paziente è un elemento essenziale per comprendere il processo psicoterapico e il risultato dell’intervento terapeutico.
L’obiettivo principale di questo lavoro consiste quindi nel mostrare come la definizione teorica dell’Istinto di morte come pulsione di annullamento diretta contro la realtà umana dell’altro, possa gettare nuova luce su una serie di questioni di ampio e attuale dibattito sul piano internazionale riguardanti la ricerca in psicoterapia. Tra queste la questione della responsiveness, ovvero della capacità di risposta del terapeuta e della flexibility, cioè della sua flessibilità, aspetti strettamente collegati in letteratura alla questione dell’effective therapist, cioè del terapeuta efficace (Constantino, Boswell & Coyne, 2021). In questo dominio di ricerca il più importante avanzamento è stato infatti considerato lo sforzo di identificare le caratteristiche e le azioni del “terapeuta efficace”, rimanendo però ad un livello d’indagine che non considera l’attività di rapporto non cosciente tra terapeuta e paziente. La ricerca sul controtransfert, anche considerato nella sua accezione pan-teoretica attuale, non è andata storicamente oltre la possibilità che nella relazione con il paziente siano implicate reazioni interne ed esterne del terapeuta dovute esclusivamente a conflitti interni irrisolti.
La nuova conoscenza introdotta da istinto di morte e conoscenza consente dunque di gettare luce sul problema cruciale sotteso alla non responsiveness, con importanti implicazioni riguardanti sia il training dei futuri psicoterapeuti sia l’intervento sulla salute mentale.
Bibliografia
- Fagioli, M. (1971). Istinto di morte e conoscenza (14th). Roma: L’Asino d’oro.
- Constantino, M.J., Boswell, J.F. & Coyne, A.E. ( 2021). Patient, Therapist, and Relational Factors.In M. Barkham, W. Lutz & L.C. Castonguay (Ed.). Handbook of Psychotherapy and Behavior change (225-262). Hoboken (NJ): Wiley
- Kiesler, D.J. (1966). Some myths of psychotherapy research and the search for a paradigm. Psychological Bullettin, 65 (2), 110-136.
- Wampold, B.E., Owen, J. (2021). Therapist Effects: History, Methods, Magnitude, and Characteristics of Effective Therapist. In M. Barkham, W. Lutz & L.C. Castonguay ( Ed.), Handbook of Psychotherapy and Behavior change ( p.297-326). Hoboken ( NJ): Wiley