A 50 anni dalla formulazione teorica di Massimo Fagioli, la scoperta di un nuovo fotorecettore retinico chiarisce come, alla nascita, la retina possa essere in grado di reagire alla luce innescando, nel breve tempo di pochi secondi, le funzioni neonatali, compreso il primo respiro.
Nella teoria della nascita umana, l’Autore propone che, quando il feto viene a trovarsi a contatto con l’ambiente extrauterino, la luce, attraverso la retina, determina l’attivazione istantanea del cervello. Per Fagioli, quindi, l’inizio della vita umana consiste in questa reazione biologica alla luce, che precede di pochi secondi, circa “venti secondi”, il primo respiro.
Il passaggio dalla situazione di completa omeostasi intrauterina alla forte e nuovissima stimolazione dell’ambiente extrauterino, implica un drammatico switch fisiologico che deve essere rapido e ben orchestrato, perché venga assicurata la sopravvivenza del neonato. Molte delle trasformazioni che avvengono alla nascita sono infatti istantanee e, tra queste, sicuramente la più impressionante è l’inizio della respirazione, in particolare il primo atto respiratorio del neonato. Nella letteratura internazionale, le cause scatenanti l’avvio della respirazione e di tutti gli altri processi fisiologici neonatali non sono state indagate, tanto che non esiste unanimità sul come avvenga questo passaggio. Con la sua formulazione teorica, Fagioli intuisce che solo una rapidissima attivazione del cervello può orchestrare un altrettanto rapido e complesso switch fisiologico.
A questo proposito, ci è sembrato molto suggestiva la recente scoperta che, a livello cerebrale, un nucleo facente parte del complesso respiratorio pontino, noto per la sua azione di blocco sul riflesso della respirazione nel feto, cambia improvvisamente la sua funzione all’uscita dall’utero, facilitando così il primo atto respiratorio e l’inizio della respirazione continua. Tuttavia, nonostante questa interessante scoperta, gli autori non indagano su cosa possa determinare questo switch funzionale alla nascita.
Negli esseri umani la retina dell’occhio è l’unica struttura fotorecettiva, ossia in grado di catturare l’energia dei fotoni di luce e convertirla in segnale nervoso che, viaggiando lungo il nervo ottico, trasporta l’informazione ai vari centri di elaborazione sottocorticali. Pur trovandosi al di fuori del cranio, la retina fa parte del cervello, ed è quindi l’unica parte del sistema nervoso centrale (SNC) accessibile dall’esterno. Per queste caratteristiche la retina è il sistema modello per gli studi di neurofisiologia cerebrale, e le molte ricerche condotte nel secolo scorso ne hanno chiarito struttura e funzioni. La retina è costituita da diversi strati cellulari con, agli estremi, da una parte lo strato dei fotorecettori visivi, i coni e bastoncelli, e dall’altra lo strato delle cellule ganglionari, le cui fibre formano il nervo ottico. L’attività fotorecettrice della retina è responsabile non solo della percezione visiva, ma anche di alcuni importanti funzioni indipendenti dalla vista, le cosiddette funzioni “non-visive”, che si svolgono senza che ne abbiamo consapevolezza. Tra di esse, la più importante è la regolazione del pacemaker ipotalamico dei ritmi circadiani, che influenza la maggior parte dei nostri processi fisiologici: cicli sonno-veglia, produzione endocrina, termoregolazione, frequenza cardiaca, etc.
A fronte della grande mole di studi condotti, per tutto il secolo scorso ha dominato fra i ricercatori la convinzione assoluta che la retina possedesse soltanto due tipi di fotorecettori, i coni e i bastoncelli, e che tutte le funzioni fotorecettive retiniche dovessero essere riconducibili ad essi. Tuttavia, a partire dai primi anni 2000, con la pubblicazione di alcuni importanti lavori, l’esistenza del terzo fotorecettore retinico è stata definitivamente dimostrata. Il nuovo fotorecettore scoperto è molto diverso dai fotorecettori tradizionali. Si tratta infatti di una piccola frazione di cellule dello strato ganglionare che esprime un fotopigmento della stessa famiglia dei fotopigmenti espressi da coni e bastoncelli, le opsine. Questo nuovo fotopigmento, chiamato melanopsina, è risultato essere molto sensibile alla luce, in particolare alla luce blu, con un picco di attività alla lunghezza d’onda di 480 nm. La melanopsina è in grado di catturare e fototrasdurre anche un singolo fotone. Questi fotorecettori melanopsina-dipendenti sono, quindi, al tempo stesso fotorecettori e neuroni di proiezione e, una volta attivati dalla luce, producono un segnale elettrico in grado di viaggiare in maniera rapidissima, attraverso vie monosinaptiche, cioè dirette, fino alle molte stazioni sottocorticali bersaglio e, da qui, fino alla corteccia. Tra le tante peculiarità che questi neuroni-fotorecettori presentano, una caratteristica specifica molto importante riguarda il loro neurosviluppo. Queste cellule, infatti, sono gli unici fotorecettori funzionanti alla nascita e nelle prime settimane di vita del neonato, mentre coni e bastoncelli, immaturi alla nascita, iniziano a funzionare all’incirca dopo il primo mese di vita.
In conclusione, la scoperta di questi particolari neuroni fotorecettivi non solo conferma che la retina è fotosensibile alla nascita ma, per le peculiarità fotochimiche e fisiologiche di queste cellule, e per la loro proiezione diffusa a tutto il cervello, suggerisce che esse siano in grado, alla nascita, di catturare la luce, generando immediatamente il segnale nervoso che attiva tutto il cervello, compresi i centri che regolano il respiro.
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