Negli ultimi anni l’emergenza sanitaria mondiale ha portato ad un aumento sostanziale di richieste di psicoterapia. Al tempo stesso però, già da marzo 2020, con l’inizio del lockdown a causa della pandemia per il Covid19, si è subito presentata la necessità di portare avanti il lavoro terapeutico che ognuno di noi aveva in corso con i propri pazienti; l’unica soluzione in quel momento per proseguire è stata affidarsi alle sedute online.
A distanza di tre anni si è assistito ad un cambio epocale a livello sociale e culturale: lo smartworking, la possibilità di fare riunioni da remoto e, perché no, cene e aperitivi a distanza; se prima tutto questo riguardava solo una piccola parte della società ad oggi è qualcosa che appartiene a tutti noi. In quest’ottica anche la psicoterapia si trova coinvolta in questa nuova realtà; come sappiamola psicoterapia e la cura non possono non tenere conto della realtà sociale e culturale in cui sono inserite ed è proprio per questo che è necessario aprire uno spazio di riflessione importante e profondo sui limiti ma anche sulle risorse che questa può offrire.
Pensare alla terapia online come una possibilità di cura per coloro che sono all’estero o che per un periodo di malattia non possono uscire di casa; o ancora per agganciare quei ragazzi che non riescono ad uscire dalla loro stanza, o sostenere le neo-mamme dopo il parto. Di contro sicuramente si perdono molti aspetti importanti che sono la vicinanza e la condivisione dello spazio fisico possono dare, come anche l’osservazione del linguaggio non verbale. Molti di noi in questi ultimi anni hanno sperimentato i colloqui online, si sono ritrovati ad interpretare sogni e a dare frustrazioni attraverso uno schermo. Come in molte altre cose non tutti si sono trovati a loro agio e come ricorderete già nel marzo 2020 ci fu un acceso confronto tra chi sosteneva “l’online assolutamente si” e chi invece ribadiva il “mai e poi mai”; successivamente si sono scritti articoli su alcuni numeri della rivista “Il Sogno della Farfalla” dove i toni sono stati sicuramente meno accesi e meno assolutisti. Sarebbe importante riprendere in mano quegli scritti e partendo proprio da lì ampliare la ricerca, inserendo nuove riflessioni, nuovi dati clinici e punti di osservazione; se prima infatti è stata una risposta immediata ad una necessità, ad oggi sta diventando una risposta ad una richiesta nuova.
Sono molte le persone che scelgono di fare una terapia online per i più svariati motivi ed anche se non si condivide in pieno la modalità non si può nascondere la testa sotto la sabbia e non domandarsi in che direzione si sta andando, da un punto di vista clinico ma anche sociale e culturale. Ad oggi la maggior parte delle ricerche e delle applicazioni di tale modalità sono legate ad un approccio cognitivo comportamentale; sarebbe interessante portare avanti una ricerca in cui si possa capire quanto la teoria della nascita di Massimo Fagioli e quindi la sua prassi psicoterapeutica possa trovare una sua applicazione in questa nuova forma di “setting” senza alterare i presupposti teorici e il rapporto di cura terapeuta-paziente.