Cinema e linguaggio. Nuove prospettive metodologiche nella ricerca sulle immagini alla luce della teoria della nascita di Massimo Fagioli

ABSTRACT

«È il caso, ritengo, di proporre che senza la scoperta e la concettualizzazione dell’immagine inconscia non si possa fare nessuna ricerca sul rapporto tra inconscio e linguaggio ed in particolare tra immagini e linguaggio. Ed anche qui credo sia opportuno proporre, più che una teoria sulle dinamiche e sui contenuti, un discorso sul metodo»1.

A partire dal 1964 viene scoperta ed elaborata da Massimo Fagioli la teorizzazione della dinamica della nascita, pubblicata successivamente nel gennaio 1972 con Istinto di morte e conoscenza. Un pensiero nuovo, rivoluzionario sulla realtà umana alla quale viene riconosciuta una creatività originaria – legata alla fantasia di sparizione che, sorretta dalla vitalità, il neonato realizza quando viene alla luce – e che rivendica un primo anno di vita senza parola «ma con resistenza e fantasia»2.

La teoria della nascita apre alla possibilità della conoscenza del non visibile e del non cosciente, e le immagini – non più misteriose – ne costituiscono il linguaggio. «E non c’è la scissione tra mente e corpo, come nell’idea dell’identità umana come ragione. E se si pensa che, alla nascita, la possibilità del corpo di muoversi è minima, si deve realizzare l’immagine che il movimento che sorge alla nascita è, in primis e soprattutto, mentale»3.

La ricerca sulle immagini è sempre stata un cardine fondamentale della teoria e della prassi4 dello psichiatra Fagioli, una ricerca che abbraccia l’arte in tutte le sue forme, ivi compreso il cinema. Ed è interessante rilevare come, all’interno del dibattito contemporaneo intorno alle teorie e metodologie di analisi del film, la ricerca di Fagioli si ponga in una posizione radicale ed innovativa, poiché permette di ri-pensare e di ri-orientare lo studio e la conoscenza del linguaggio per immagini.

A partire dal dopoguerra, è la psicoanalisi a delinearsi, tra gli altri ambiti, come nuovo paradigma, metodo critico di riferimento per le teorie metodologiche del cinema, e il saggio del 1949 di Serge Lebovici, Psychanalise et cinéma, ne orienta l’indagine sottolineando le analogie tra film e sogno5. E ancora, negli anni Settanta, sotto l’egida della rilettura di Freud operata da Lacan, la psicoanalisi si pone come la chiave di volta per comprendere il funzionamento del dispositivo cinematografico e le dinamiche dell’esperienza e dell’identificazione spettatoriale6 che resta, tuttora, un tema attorno al quale continua ad interrogarsi la teoria del cinema, in dialogo con la filosofia analitica7 e il neuro-cognitivismo. Un simile approccio, attualmente in piena crescita, è legato essenzialmente all’indagine delle relazioni empatiche che lo spettatore instaura con i personaggi8, e ad una ricerca empirica tesa alla comprensione di ciò che accade nel cervello dello spettatore posto davanti ad un determinato film9.

L’originalissima ricerca sulle immagini di Massimo Fagioli (in cui anche l’immagine femminile assume una centralità mai avuta prima) si pone, nell’ambito del dibattito contemporaneo degli studi sul cinema, con uno sguardo completamente nuovo sulla rappresentazione e sulla comprensione dell’immagine, della quale – in occasione del Convegno “Le forme del linguaggio”, tenutosi presso l’Istituto orientale di Napoli, il 12 maggio 1995 – viene elaborata la formula di immagine inconscia non onirica che spalanca le porte ad una ulteriore enorme ricerca e alla proposizione di una differenziazione netta tra le due parole ‘significato’ e ‘senso’10. Un’immagine, dunque, non cosciente che non è però la raffigurazione del sogno – come vediamo, ad esempio, ne Il posto delle fragole (1957) e ne L’immagine allo specchio (1976) di Ingmar Bergman o, ancora, in Un chien andalou (1929) e ne Il fascino discreto della borghesia (1972) di Luis Buñuel.

Un’immagine – silenziosa – attraverso la quale l’artista può ritrovare il linguaggio delle immagini che dice ciò che la mente razionale non vede, ricreando quel primo anno di vita senza parola che ha la capacità di immaginare.

Rappresentare, dunque, il movimento invisibile dell’immagine interna che racconta, mediante il mezzo cinematografico, dinamiche psichiche interne dell’essere umano. Ecco che allora, di contro a quanto ampiamente formulato finora dagli studiosi, possiamo affermare che questo tipo di immagine non ammette l’identificazione, pertanto costringe ad un ripensamento delle modalità di lettura e di analisi del film: «Quando si tratta […] di utilizzare le storie per proporre un linguaggio, un discorso, delle immagini, forse questa possibilità di identificazione viene bloccata. Lo spettatore deve stare a guardare, a seguire, a cercare di sentire prima di comprendere»11.

Da una parte, dunque, l’artista, che rappresenta mediante immagini il movimento invisibile dell’immagine interna; dall’altra, lo studioso, al quale viene delegato il compito di indagare ciò che un certo tipo di film propone, ovvero il ‘senso’ celato nelle immagini. Conseguentemente, lo studioso – al cospetto di immagini artistiche – è costretto ad acquisire uno sguardo nuovo, per raccontare ciò che finora l’artista ha intuito ma che la critica non ha mai rilevato circa la possibilità di rappresentare l’immagine – oltre la narrazione dei fatti – e il rapporto imprescindibile che la lega al suo autore12.

Ri-cercare, «trovare quel linguaggio, assolutamente originale, personale e paradossalmente incomunicabile che il genio e il poeta fa per raccontare cose che soltanto lui ha capito»13.

Ecco allora le intuizioni geniali di registi come Michelangelo Antonioni che, nel 1960 con L’avventura (ma ancora prima con Cronaca di un amore e Le amiche) rappresenta in un modo del tutto originale la dinamica della sparizione; o come Manoel De Oliveira, in particolare in Singolarità di una ragazza bionda (2009) e  Lo strano caso di Angelica (2010), «che aveva fatto diversi film sul ‘male radicale’ della donna ma nessuno disse che era anaffettività. Avevo visto che non era indifferenza di una donna superba della sua bellezza»14.

Scoprire, dunque, in che modo le immagini sanno diventare linguaggio perché, come Fagioli stesso afferma, parlando de Il cielo della luna (film che lui stesso realizza tra il 1997 e il 1998 e di cui centrale diventa la rappresentazione dell’immagine femminile): «Mi pare che con questo film siamo riusciti a dire di aver fatto delle immagini che sono appunto linguaggio»15.

Quel linguaggio delle immagini che dice ciò che la mente razionale non vede, ricreando quel primo anno di vita senza parola che ha la capacità di immaginare, e che permette all’artista di recuperare, tornare a quell’immagine interna, necessaria per ‘creare’ qualcosa di assolutamente nuovo che ‘prima’ non c’era.

 

Note

  1. Fagioli, M. (1995). Le forme del linguaggio, Il Sogno della farfalla, 4, n°4, p. 16.
  2. Fagioli, M. (2017). Istinto di morte e conoscenza. (p. 36). Roma: L’Asino d’oro.
  3. Fagioli, M. (2011). Left 2008. (p. 286). Roma: L’Asino d’oro.
  4. «… la metodologia di cui parlavo si riferisce a questo approccio e rapporto con questa realtà per cui viene proposta – al di là della teoria specifica – […] la sfida ad una situazione per cui tutto ciò che è stato sempre considerato assolutamente inconoscibile e soggetto addirittura a impossibilità di conoscenza, viene affermato invece che è conoscibile, teorizzabile; e non solo conoscibile e teorizzabile, ma può avere un immediato rapporto con gli altri esseri umani nel senso dell’utilizzazione da parte di tutti gli altri esseri umani di queste scoperte scientifiche per la propria cura e la propria realizzazione.» Fagioli, M. (2001). Intervista a Radio Città, Bologna, 7 settembre 1980, Il sogno della farfalla, 4, p. 12.
  5. Nel saggio, leggiamo: «Il film è un sogno ed è anche materia per sognare. È insomma un sogno che fa sognare.» Alcuni studiosi addirittura si rivolgono, nella pratica analitica, a quanto di ‘rimosso’ può essere ricostruito, mediante il film, della vita del suo autore. Si vedano, a riguardo: Fernandez, D. (1975). Eisenstein. Paris: Grasset e Spoto, D. (1979). The Art of Alfred Hitchcock. New York: Doubleday. I volumi tendono sostanzialmente alla ricerca dei ‘traumi’ che avrebbero segnato l’infanzia dei due autori
  6. Si vedano anche Le signifiant imaginaire. Psychanalyse et cinéma (1977) di Christian Metz, il quale aveva già pubblicato, nel 1964, il saggio Le cinéma: langue ou langage, rimarcando tre aspetti specifici messi in atto dalla fruizione dell’immagine cinematografica: l’identificazione speculare, il voyeurismo e il feticismo.
    Si veda, ad esempio, De Vincenti & G., Carocci, E. (Eds.). (2013). Il cinema delle emozioni. Estetica, espressione, esperienza. Roma: Fondazione Ente dello Spettacolo.
  7. Questo approccio si sviluppa sotto il segno di Gilles Deleuze e del suo orientamento bergsoniano al cinema negli anni Ottanta, per poi essere ripreso nel corso degli anni Novanta, fino ad oggi.
  8. Si veda, ad esempio, De Vincenti & G., Carocci, E. (Eds.). (2013). Il cinema delle emozioni. Estetica, espressione, esperienza. Roma: Fondazione Ente dello Spettacolo.
  9. Si vedano, tra gli altri, i contributi: Shimamura, A. P. (Ed.), (2013). Psychocinematics. Exploring Cognition at the Movies. Oxford-New York: Oxford University Press; D’Aloia, A. & Eugeni, R. (Eds.). (2014). Neurofilmology. Audiovisual Studies and the Challenge of Neurosciences, in International Film Studies Journal.
  10. «Era il gennaio 1999 quando, all’Università di Würzburg, feci una relazione sulle due parole significato e senso. […] E viene la memoria del maggio 1995, quando fu detto: «Immagine inconscia non onirica». E allora la parola senso comparve, come il vagito di un neonato che era il sorriso di una fanciulla, nel suo aspetto che era identità. Non c’era più coscienza sparita e buio degli occhi, ma creazione di immagini nuove che non avevano significato. E sentii tante persone normali che, davanti ai quadri di Picasso dicevano, bestemmiando: «Non hanno senso». Avevano, invece, il senso della capacità di immaginare, senza che la mano avesse riprodotto immagini oniriche.» (Fagioli, M. (2012). Left 2009. (pp. 120-121). Roma: L’Asino d’oro.«Ciò che l’artista crea è «qualcosa che non ha nessun significato (se avesse un significato, farebbe un segnale stradale, un cartello per indicarci dove dobbiamo voltare), però forse ha un senso che può essere percepito e recepito dagli altri» (Fagioli, M. …mi serve per pensare…, relazione tenuta da Massimo Fagioli il 30 gennaio 1999 presso l’Aula magna dell’Istituto di anatomia della Facoltà di medicina e chirurgia dell’Università di Würzburg).
  11. Fagioli, M. in Le forme del linguaggio, convegno tenutosi il 12 maggio 1995, presso l’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”. Cfr. Le forme del linguaggio (p. 20). Il sogno della farfalla, 4.
  12. «Qui c’è il passaggio interessante, molto importante: con questo noi abbiamo detto che un autore, anche toccando livelli artistici, può non sapere esattamente il perché e il per come fa certe cose, può non conoscere esattamente l’oggetto a cui si rivolge, cioè la realtà umana, può non avere uno scopo chiaro di trasformazione. Ma nonostante questo – e lo sapete benissimo perché avrete sentito tante volte quanto me tante interviste fatte ad artisti – di fronte alla domanda: “Ma perché tu hai fatto questo e quest’altro?” la risposta è: “Non lo so”. E magari deve essere qualche critico particolarmente abile a dirgli: “Guarda che tu hai fatto questo, per questa e questa ragione”. Dice: “Ah, è vero! È proprio questo”. Ma l’autore non lo sa. È di estremo interesse. È di estremo interesse perché è come se trovassimo conferma che esiste una fantasia inconscia, un Io inconscio che ancora non è arrivato ad una fusione completa con tutta la personalità, per cui diventa anche coscienza, sapere cosciente, verbalizzazione chiara; ma esiste, esiste una fantasia inconscia più o meno infantile che fa l’identità, l’originalità dell’artista, che lo pone nella possibilità di ribellarsi e di rifiutare la norma.» M. Fagioli, in Il sogno della farfalla 4/ 2001, p. 9-10.
  13. De Simone, G. in ‘Il piccolo video’, girato da Massimo Fagioli nell’estate del 1997 a Tragliata (Rm), riguardante gli Incontri di ricerca psichiatrica, svoltisi all’Aula magna del l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” il 10 e il 24 maggio e il 7 giugno 1997.
  14. Fagioli, M. (2018). Left 2015. (p. 81-82). Roma: L’Asino d’oro.
  15. Fagioli, M. Dibattito a Firenze 15 maggio 1999, Cinema Spazio Uno, in De Santis, G. (Ed.) (2020). Il cielo della luna. Un film di Massimo Fagioli. (p. 210). Roma: L’Asino d’oro.

 

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