Vecchie parole per un pensiero nuovo: spunti per una ricerca sull’alienazione nella tradizione del pensiero occidentale e nell’opera di Massimo Fagioli a partire da Istinto di morte e conoscenza

ABSTRACT

Il termine alienazione viene usato dai greci e dai romani per indicare la cessione di un diritto reale, significato giuridico che tuttora conserva. Assume un contenuto teologico-filosofico con lo gnosticismo. Negli scritti mandaici si fa riferimento alla “prima vita aliena” (la luce), che rimane al di là di questo mondo e gli è aliena, ma in questo mondo si perde, si aliena in esso. Il termine viene ripreso, nella letteratura ellenistica, poi da Plotino e Agostino, infine da Tommaso d’Aquino. Il primo pensatore moderno a farne ampio uso è Hegel (anche se non è appropriato attribuirgli una teoria dell’alienazione). Dopo Hegel, il discorso sull’alienazione si sviluppa in due direzioni, da una parte Feuerbach, dall’altra Marx. Feuerbach parla di alienazione religiosa: l’essere umano aliena la propria essenza in un ente fantastico (Dio), che diventa il soggetto che lo avrebbe generato e che lo sovrasta. Marx, il cui pensiero sul tema si sviluppa in una linea di sostanziale continuità, fa transitare il concetto di alienazione dal terreno filosofico a quello economico-sociale. L’alienazione non è una dimensione mentale dell’essere umano, ma una conseguenza dei rapporti di produzione capitalisti, e verrà superata con il superamento del capitalismo.  Dopo la morte di Engels, il concetto di alienazione praticamente scompare dalla letteratura marxista, sino alla pubblicazione, nel 1923, di Storia e coscienza di classe. Lukàcs sviluppa il tema della alienazione come reificazione e feticismo, prendendo le mosse da Marx, ma con esiti molto diversi: considera, in particolare, il metodo delle scienze naturali come massima manifestazione dell’alienazione, in quanto frantumerebbe la totalità della realtà in singoli parziali aspetti. Un’impostazione che avrebbe influenzato il pensiero della Scuola di Francoforte e in particolare di Adorno e Marcuse.

In campo psichiatrico, nella cultura illuminista, il termine “alienazione” definisce la malattia mentale: si pensi a Pinel. Alienisti furono chiamati i medici e gli studiosi di malattie mentali. Nel pensiero illuminista l’alienazione è “alienazione della ragione”.  Nel positivismo ottocentesco si struttura l’idea del carattere ereditario di tratti di “atavismo”, che rimandano alla concezione di una non completa realizzazione della struttura fisica della specie umana (Lombroso sul “criminale nato”, ecc.).

Massimo Fagioli si separa dal concetto di “alienazione” inteso come uno stato immodificabile di perdita di caratteristiche mentali specificamente umane e sovrapposto al concetto di proiezione. La capacità dell’essere umano di mettere fuori di sé qualcosa che non è definibile come proiezione, è legata al “vedere” o “non vedere”, corrispondenti alla realizzazione di “essere” o “non essere” da parte del soggetto. Si distingue dai vissuti di introiezione e proiezione inerenti alle dinamiche di rapporto fisico e psichico del neonato con l’altro da sé. I vissuti risultanti da tali dinamiche portano allo sviluppo del pensiero per immagini e poi del pensiero verbale, oppure alla perdita più o meno grave di tali capacità. In Istinto di morte e conoscenza Fagioli parte dalla rilevazione di una tendenza non cosciente a rendere inesistente il rapporto, gli affetti di rapporto e le qualità dell’oggetto terapeuta da parte del paziente, con perdita delle proprie capacità affettive, di investimento libidico oggettuale e conseguente disturbo del pensiero. Chiama questa attività della mente non cosciente “fantasia di sparizione”. Alla nascita la fantasia di sparizione è, insieme, vitalità e pulsione di annullamento. La fusione non è tuttavia completa, la pulsione di annullamento è più forte della vitalità per cui “la fantasia di sparizione fa la distanza in cui il rifiuto del mondo non umano è alienazione” (Left, 2013, p. 35). Tuttavia, nella misura in cui la pulsione di annullamento, nel neonato, è rivolta al mondo non umano, l’alienazione deriva da una carenza fisiologicamente insita nella sua realtà ed è destinata ad essere superata nello sviluppo psichico. Quando invece, per la perdita di vitalità dovuta ai fallimenti di rapporti affettivi passati, la pulsione di annullamento si rivolge al mondo umano, l’alienazione diventa perdita di capacità della mente. Il concetto di “alienazione religiosa”, nel suo aspetto dinamico proposto da Feuerbach, trova riscontro nella formulazione della pulsione di annullamento contro l’identificazione proiettata, come creazione dell’astratto metafisico fantasticato, posto nella realtà fuori di sé. “E’ la pulsione di annullamento, scissa dalla vitalità che è realtà biologica, che porterà la mente a credere invece di pensare. Credere che una realtà non materiale non umana esista fuori dall’essere umano. Nell’alienazione religiosa si crede in una esistenza che l’essere umano non potrà mai raggiungere” (Left 2013, p. 36). C’è infine in Fagioli una terza accezione del significato di alienazione. Il superamento della carenza neonatale porta allo sviluppo della capacità di immaginare, con creazione di immagine interna non cosciente dell’esperienza vissuta: alienazione diventa realizzazione di fantasia. “Alienazione fuori di sé”: l’altro, diverso da sé, assume una corrispondenza, come immagine, a contenuti interni non coscienti e irrazionali.

Il grande interesse della elaborazione teorica di Fagioli sul concetto di alienazione sta, oltre che nella fondamentale portata clinico-psicoterapeutica, nel fare da ponte fra la dimensione strettamente individuale e privata delle vicissitudini psichiche dello sviluppo della mente e quella politico-culturale attinente l’idea di socialità umana.

 

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