L’infermità mentale e l’incapacità di intendere e di volere nel diritto penale.

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ABSTRACT

Introduzione

Con “Istinto di morte e conoscenza”, Massimo Fagioli supera definitivamente le idee razionali e le credenze religiose del vuoto originario, dell’animalità insita in ognuno, del peccato originale e dell’homo homini lupus, teorizzando una concezione assolutamente nuova della nascita umana, della fisiologia e della malattia della mente. Secondo Fagioli il pensiero umano ha un’origine biologica; alla nascita c’è fusione completa tra corpo e mente; la dinamica della nascita è la medesima per tutti gli esseri umani i quali sono naturalmente portati alla socialità e non alla violenza; quest’ultima rappresenta, pertanto, una dimensione patologica, che si esplica con l’annullamento verso gli altri esseri umani, a causa di un vuoto interiore dato dalla perdita di vitalità e dalla conseguente anaffettività. I suddetti assunti scientifici hanno implicazioni sulla tematica giuspenalista della non imputabilità o semi-imputabilità, per incapacità di intendere e di volere determinata da infermità mentale. Tematica, questa, che a partire da Marco Aurelio ha generato un dibattito secolare. Fagioli ha sempre sostenuto che la spiegazione di alcuni delitti particolarmente efferati, commessi talvolta da persone apparentemente normali, può essere trovata solo “guardando” oltre il comportamento cosciente del reo e indagando il pensiero non cosciente nel quale si annida la malattia di mentale .In tutto ciò, come chiarito da Fagioli, psichiatri e giudici hanno ruoli nettamente distinti: i primi “comprendono e curano”, i secondi “giudicano e puniscono”.

 

Tema e metodo della ricerca

Ritenendo necessaria l’assunzione della teorizzazione di Fagioli nelle aule di giustizia, si condurrà una ricerca sulla normativa vigente (artt. 85, 88 e 89 c.p.) e sui principi di diritto elaborati dalla giurisprudenza (anche alla luce della nota “Sentenza Raso”, pronunciata dalle S.U. della Cassazione).Si partirà dagli artt. 88 e 89 c.p., i quali “parlano” di infermità e non di malattia mentale, richiedendo peraltro che la detta infermità sia accertata al momento del fatto e determini l’esclusione o la riduzione della capacità di intendere e di volere.

Ci si soffermerà poi sull’interpretazione giurisprudenziale delle suddette disposizioni e dell’art.85 c.p., affrontando i seguenti aspetti: 1) il concetto di infermità mentale; 2) la definizione della capacità di intendere e di volere e l’incidenza dell’infermità mentale sull’anzidetta capacità; 3) la necessità del ricorso a saperi scientifici extragiuridici per l’accertamento dell’infermità e la rilevanza del ruolo di periti e (consulenti di parte); 4) la necessità di un nesso eziologico tra tipo di infermità riscontrato e tipo di reato commesso; 5) il linguaggio utilizzato dal legislatore, risalente al Codice Rocco e le conseguenti implicazioni; 6) i rapporti tra imputabilità e funzione della pena.

 

Conclusioni

Nella giurisprudenza sono rinvenibili cambiamenti propedeutici ad una diversa visione della tematica oggetto del presente studio. Resta fermo però che, per giungere ad un’elaborazione realmente nuova, si rende necessaria una rivoluzione del pensiero, che permetta di definire in modo chiaro e netto il confine tra sanità e malattia mentale, accedendo alla comprensione diquesto attraverso la scoperta di Massimo Fagioli sulla pulsione di annullamento.

 

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